Garzo: “Inopportuni i domiciliari nella casa dove fu uccisa Fortuna”
“Mai abbassare la guardia sulle violenze: la pandemia ha moltiplicato le molestie tra le mura domestiche”
di Conchita Sannino
«La prima cosa che tengo a dire è che ho ammirato la compostezza e la dignità di queste donne nella loro pacifica mobilitazione dinanzi al Palazzo di giustizia. Non potevo non notarle, entrando in ufficio. Non solo ricordano e lottano per la memoria di Fortuna. Ma affinché non ci siano altre Fortuna, vittime di tanta brutale violenza».
Presidente Elisabetta Garzo, tra migliaia di storie che attraversano il “suo” Tribunale, ricordava la vicenda?
«La storia di Fortuna Bellisario, appena 35 anni, non l’ho mai dimenticata. Le donne che cadono nei femminicidi sono purtroppo tante, ma a me era rimasto impresso, tra gli altri, il particolare di quei tre figli minori…».
Cosa l’ha colpita, nel presidio silenzioso delle “Forti guerriere” del rione Sanità?
«Proprio quella testimonianza che parla da sola. Diciamo che se si imbraccia uno striscione e si va sotto a un Tribunale, è per gridare qualcosa. Invece la loro scelta, quelle mascherine rosse e quel silenzio, testimoniano per me non solo un autentico affetto e dolore verso l’amica stroncata dalla violenza. Ma esprimono anche il loro legame con la giustizia. Seppure nella forma di un dissenso, di un’attesa». Elisabetta Garzo è, da un anno, il vertice del Tribunale di Napoli. E non poteva non notare quel sit-in fatto madri, sorelle, nonne. Con lo striscione che dice “In-Giustizia per Fortuna”, quelle donne protestano contro la misura degli arresti domiciliari concessi dal gip Fabio Provvisier a Vincenzo Lo Presto, il marito assassino di Fortuna Bellisario, massacrata di botte il 7 marzo 2019, davanti ai suoi tre figli. Caso ricostruito da Repubblica una settimana fa. Intanto la Procura depositerà oggi il ricorso al Riesame contro quell’attenuazione della custodia cautelare.
Presidente, il sit-in grida però una delusione. Nel rigoroso rispetto dell’autonomia del giudice, quei domiciliari non vanificano l’opera di chi spinge a denunciare?
«Premessa importante: non posso entrare in alcuna valutazione sul provvedimento.».
Però?
«Ecco, forse doveva essere valutata con ancora ulteriore rigore, rispetto a quello che il giudice certamente avrà adottato, dove e come concedere questi arresti domiciliari. Questo mi sento di dirlo. Magari, non avrei destinato quell’uomo nella stessa casa dove era avvenuto il massacro della donna».
Senza braccialetto elettronico, e in casa con la madre, la stessa che negava le brutali violenze reiterate per anni, come il giudice peraltro scrive in sentenza.
«Sono tante le valutazioni. Mi rendo conto che, su un fronte così sensibile e tragico come i femminicidi che registriamo ogni giorno da anni, si possa aprire una riflessione. Ma ripeto, il giudice è il dominus del processo, avrà esaminato ogni elemento. È lo stesso giudice che ha inflitto 10 anni di pena, primo grado».
Una sentenza ritenuta mite dalla famiglia. Certo, non esemplare rispetto al quadro di inquietante violenza esercitata dall’uomo per molti anni.
«Come si fa a non compenetrarsi nel dolore di una famiglia cui è stata strappata una giovane donna e madre, in un pestaggio, a freddo? Però quelle norme esistono. Anche se possono ferire. Il rito abbreviato prevede uno sconto di pena, come è stato nei servizi correttamente riportato. Così come la derubricazione da “omicidio volontario” a preterintenzionale. Il collega era partito dai 15 anni di pena, infatti».
Con il lockdown i maltrattamenti sono aumentati, e la giustizia come risponde?
«Un tema enorme, che sento molto e su cui facciamo bene a interrogarci tutti, dentro e fuori le aule dei Tribunali. Ecco perché è giusto parlarne. Un dramma enorme, che cresce nella pandemia. Specie in alcune realtà del nostro Sud. Ma a quelle donne amiche di Fortuna dico, da cittadina e da magistrato: vi prego non perdete fiducia nella giustizia»