La pandemia culinaria di giudici e avvocati
I due volumi curati da Manuela Palombi e Alessandro Gargiulo la sfida ai fornelli tra 160 toghe diverse
La pandemia culinaria di giudici e avvocati
Di Angelo Agrippa
Un nemico invisibile nell’aria ed il mondo che si rimpicciolisce all’improvviso, con i corridoi di casa che diventano boulevard affollati; i bagni delle oasi di solitudine ambite e contese; e la cucina che si trasforma in unico spazio condiviso di mitigata esuberanza creativa. È qui, tra i fornelli, che si confessano in due distinti volumi appena pubblicati dalla Grimaldi & C. Editori curati da Manuela Palombi e Alessandro Gargiulo ed ispirati dall’editore Marzio Grimaldi – ottanta magistrati ed ottanta avvocati, raccontando la loro personale pandemia culinaria. Ricette più o meno elaborate, sicuramente personalizzate dal talento emerso o confermato in piena cattività da lockdown, ora offerte al giudizio – si presume incondizionato ed inappellabile – dei lettori. Ma sarebbe riduttivo limitarsi alle pietanze, poiché ogni suggerimento in cucina si affaccia alla finestra di un ricordo di vita familiare che oltre ad evocare l’impareggiabile abilità di mamme, zie e nonne, sprigiona un intenso profumo di nostalgia, quasi da petite madeleine proustiana, sebbene non sia un piccolo dolce, ma una genovese, una parmigiana, un timballo, uno sformato ad accudire il desiderio del palato; ma meno, molto meno, il peso conseguente dello smaltimento.
Così si scruta Giovanni Melillo che prova a sedare l’impazienza dei figli sfornando le celebrate «patatine fritte di papà» per poi far leva sui segreti dei manicaretti pugliesi della zia Olga; o le reminiscenze siciliane di Francesco Greco che, confortato dalla maestria della consorte, militante dell’Accademia italiana della cucina, ora possono materializzarsi in succulente caponate; ed ancora i sogni da chef stellato di Nicola Graziano tra gli scaffali del supermercato; quelli più sobri di Nunzio Fragliasso che raccomanda per la sua ricetta il polpo fresco; le cervellatine al vino (e le evasioni con cane senza museruola) di Giovanna Ceppaluni; la frittata di scammaro e le delizie di prosciutto al marsala di Henry John Woodcock, suggerite dal quaderno di ricette della mamma Gloria, scomparsa alla vigilia della pandemia; l’ansia «messa in disparte» da Nicola Russo che ha ritrovato sé stesso anche in cucina; e la scoperta di Ernesto Aghina dell’olio evo «che non è una marca di olio». In tutta verità, dalla lettura comparata non si può che venir fuori con un giudizio lusinghiero nei confronti degli avvocati che appaiono di palato fine e più disinvolti degli altri togati tra pentole e padelle. È il caso di Dario Bellecca («Dariettiello pescespada») iniziato alla cattura ed alla preparazione dello Xiphias gladius da zio Oreste; o di Claudio Botti, che ha combattuto con tenacia le trappole tecnologiche dei collegamenti da remoto, rifugiandosi nella rielaborazione dei piatti della tradizione caprese; o il sartù bianco proposto da Paola Carbone Falconio; i raffinati peperoni cruschi e arance di Domenico Ciruzzi, non senza contestare, avendolo notato dalla sua abitazione, l’accanimento poliziesco contro chi, nella prima fase del lockdown, si permetteva di infrangere i divieti. Insomma, Avvocati in Cucina (8o storie di quarantena) e Magistrati in Cucina (con 120 gustose ricette originali) sono due stuzzicanti volumi di confessioni che rimbalzano tra ricordi, pensieri e deliziose proposte gastronomiche, a dimostrazione che pentole e cucchiai rimarranno, nella nostra memoria ferita, come i primi veri anticorpi di libertà che abbiamo prodotto contro l’assillo della prigionia da coronavirus.