Storia di Fortuna, una vita spenta. I giudici: “Ma quali sensi di colpa quell’uomo meritava l’ergastolo”

Femminicidio Bellisario: ecco le motivazioni dei 30 anni di carcere per Lo Presto

Così i giudici di appello bocciano il gip

 

Lui, Vincenzo Lo Presto, brandendo la stampella aveva messo in conto di uccidere la moglie, dopo anni di sevizie e maltrattamenti. Lei, Fortuna Bellisario, la 35enne del Rione Sanità, uccisa il 7 marzo del 2019 nella sua casa di Marianella, era “succube” di un violento: non trovava più la forza di reagire, “perché paralizzata dal terrore”.

Altro che “sensi di colpa” e condotte anomale, come si era spinto a teorizzare il giudice di primo grado, assorbendo supposti tradimenti o presunte incontinenze della sfera intima di lei, riferite da un imputato macchiatosi di una “vicenda caratterizzata da un’enorme gravità”, come scrive ora il giudice d’appello. Altro che continui “incontri con altri uomini”.

Ecco la testimonianza, in incidente probatorio, recuperata dai giudici, della figlia 12enne di Fortuna e dell’assassino. “Mamma? Lei non poteva uscire. Mai. Neanche per comprare lo zucchero. Papà diceva di no, era geloso, si faceva i film in testa. Lei mi confidava: mi picchia, mi maltratta”. Trentasette pagine restituiscono da ieri rispetto e piena dignità alla memoria di Fortuna. La cui storia, un anno fa, era stata al centro di un’indagine di Repubblica sulla rabbia di un intero rione, poi sfociata nella mobilitazione dell’associazione “Forti Guerriere” con sit-in silenziosi dinanzi a Palazzo di Giustizia.

Nel febbraio 2021, Lo Presto era stato rimandato a casa, ai domiciliari, dopo una condanna a 10 anni, per omicidio preterintenzionale: per aver ucciso la madre dei suoi tre figli. Nei mesi successivi la Procura di Napoli, accogliendo le tesi degli avvocati di parte civile Manuela Palombi e Marco Muglione, aveva da un lato, impugnato la revoca del carcere; e, dall’altro, proposto di riformare la condanna in appello per Lo Presto, tornando all’imputazione per omicidio volontario.

Fino ad ottenere, lo scorso 22 luglio, la condanna triplicata per il marito in Corte d’Assise d’Appello, quarta sezione, presidente estensore Roberto Vescia, che ieri ha depositato le motivazioni. “La pena è quella l’ergastolo”, nessuna attenuante, diminuita a 30 anni per effetto dello ” sconto” previsto dal giudizio abbreviato. Lo Presto è ora in carcere. Ma chiede di uscire per motivi di salute.

Quel giorno, era il 7 marzo 2019, scrive il presidente Vescia, Lo Presto le inferse schiaffi e bastonate violentissime, anche “al capo”, quindi in “zone vitali “, contrariamente a quanto stabilito in primo grado. E massacrò Fortuna con “colpi di una tale veemenza da generare l’ematoma subdurale” che la uccise. E se l’unica reazione di Fortuna era quella di sollevare le braccia per parare i colpi (“perciò l’ho colpita anche lì”, spiegò l’imputato), “l’unica spiegazione” è da individuarsi – è scritto ancora nelle motivazioni d’appello “nella situazione di succubanza in cui era precipitata la donna, a seguito dei maltrattamenti subiti ormai da anni”.

Quindi, “è assolutamente da escludersi l’illazione del primo giudice che sembra ritenere che la Bellisario “aveva ormai anche smesso di reagire probabilmente proprio in quanto si sentiva in colpa””. Anzi. Scrive Vescia: “La gelosia del Lo Presto era del tutto infondata. In maniera ossessiva l’imputato fantasticava della indefeltà della moglie, laddove alla vittima non era neppure consentito di uscire di casa da sola, e neppure in compagnia della sola figlia, in quanto il marito doveva vigilare che ella non volgesse lo sguardo verso altri uomini”.

La ricostruzione di primo grado è ribaltata (con buona pace di documenti e proteste, contro il rispettoso sit- in di un presidio di donne all’esterno della cittadella giudiziaria). Sicché, è la conclusione dell’appello, “non può assolutamente condividersi l’affrettata congettura del primo giudice riguardo a possibili sensi di colpa della donna. Unicamente perché paralizzata dal terrore dei costanti maltrattamenti, la donna non osava reagire”.

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