Avvocati in cucina e Magistrati in cucina

Avvocati in cucina e Magistrati in cucina, 80 + 80 storie di quarantena di Maria Cristina Amoroso

 

Sia che voi siate tra color che son sospesi tra la prima e la seconda dose del vaccino, sia che siate ormai intimamente, profondamente e irreversibilmente vaccinati, consiglio la lettura dei testi “Avvocati in cucina” e “Magistrati in cucina”, editore Grimaldi & c.

Si tratta di un vero e proprio Decamerone culinario, in cui centoessanta, tra magistrati e avvocati, riportandoci a più di un anno fa, mettono a nudo i loro pensieri più intimi dell’epoca e   condividono con i lettori le loro personali ricette utilizzate per sopravvivere, dentro e fuori la cucina, ai tempi del lokdown.

L’impresa è il frutto dell’impegno di quattro moderni aedi convertiti alla carta stampata, i dottori Ernesto Aghina e Nicola Russo, che hanno collazionato i racconti dei magistrati, e gli avvocati Manuela Palombi e Alessandro Gargiulo, che hanno raccolto le narrazioni dell’avvocatura.

I due volumi sono di godibile fruibilità: le foto dei protagonisti introducono il lettore in tanti mini sipari, in cui il magistrato o l’avvocato di turno condivide la sua personale esperienza della pandemia, e sceglie e regala gli ingredienti necessari a realizzare i piatti che più gli hanno fatto compagnia.

Per chi ha voglia di andare oltre il contenuto più immediato, gli spunti di riflessione sono davvero tanti… i due tomi, infatti, non sono solo preziosi ricordi e gustose ricette, ma rappresentano il pretesto per raccontare le “due anime dell’agone processuale”, e, per questa via, disvelare le differenti spinte che agitano il mondo della giustizia.

Ad un occhio più attento, le storie della quarantena comunicano la capacità di avvocatura e magistratura di condividere e prospettare visioni unitarie: parlano la stessa lingua la dottoressa Cozzolino e l’avvocatessa Aprea, che erigono con mandorle, burro, zucchero cioccolato fondente e zucchero a velo le fondamenta di una universale torta caprese.

Nei racconti si denuncia l’esistenza di visioni contrapposte sui medesimi temi: per il dott. Carlo Visconti lo scarpariello vive solo se sposato con i bucatini (anche se traditori), mentre per l’avvocatessa D’Angelo il vero scarpariello dei Quartieri spagnoli accetta solo i mezzanelli, al più la mezza zita tagliata, e va rigorosamente infuocato di peperoncino.

Si racconta di valori di fondo storicamente inconciliabili: la dottoressa Criscuolo affida la Pasqua al casatiello strutto e pepe mentre l’avvocato Crisi opta decisamente per il tortano, così perpetrando una sfida raccontata negli annales della storia della tradizione pasquale campana.

Da entrambi i volumi emerge una spietata vis autocritica.

Nel tomo “Magistrati in cucina” non si fa mistero dei contrasti interni della magistratura e delle ideologie contrapposte che la animano: la genovese ad alta digeribilità del dott. Auletta è del tutto diversa da “la mia genovese” del dottor Baldassare ed è ancor più dissimile dalla “genobolognese” della dottoressa Annunziata, a tacere delle differenze delle prime con “la genovese della nonna (non la mia, ma quasi)” della dottoressa De Franco.

Allo stesso modo, nel volume “Avvocati in cucina” non si nascondono i conflitti che ancora oggi lacerano l’avvocatura: l’avvocato di Iorio sostiene apertamente che il pescespada debba trovare la sua nobile fine arrotolato in braciole, mentre l’avvocato Trapuzzano afferma strenuamente che il vero pescespada morto è solo quello che finisce in spiedini.

Nonostante le criticità, però, dalle storie emerge la voglia prepotente di entrambi gli operatori della giustizia di proporre soluzioni innovative ed originali come il “si sono arrubbati le pere, cheescake rivisitata” dell’avvocato Von Arx, e la anomala e rivoluzionaria “zuppapizza” della dottoressa Teresi; e la accesa attenzione per le prospettive sovranazionali: si veda il “Gyoza“ della dottoressa Picozzi e il “ Black code” dell’avvocato Mariniello.

Due testi, insomma, ricchi di ottimi  ingredienti e proprio per questo da non perdere.

Complimenti vivissimi ai curatori per il progetto ottimamente realizzato, i libri sono divertenti, emozionanti e ricchi di spunti storici, a volte anche piccanti (si veda l’ardita storia della nascita del tiramisù raccontata dall’avvocatessa Fabrizio), e in maniera leggera ma mai superficiale riescono meritoriamente a guidarci di nuovo verso tradizioni che sembravano, a torto, inesorabilmente perdute.

Unica controindicazione: riuscire a reggere l’amara nostalgia, che fa da sfondo quasi a tutti i racconti, di aver potuto godere solo per pochi mesi di una Napoli divenuta meravigliosa.

L’auspicio è quindi che l’esperimento si ripeta, magari a latitudini diverse.

Rimaniamo golosamente in attesa.

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