“Fortuna, fu omicidio volontario”, la Procura aggrava l’accusa al marito

Gelo sulle parole del gip: “Rischio di adesione a congetture tanto improprie quanto prive di base fattuale”

Non fu un omicidio preterintenzionale. Ma “volontario”. Anzi, la contestazione dell'”orribile vicenda omicidiaria” fu “ingiustificatamente modificata”. Ecco cosa scrivono i pm tre mesi dopo la sentenza di primo grado. Fortuna Bellisario “fu vittima di un’aggressione particolarmente brutale, caratterizzata da reiterati colpi inferti sia con le mani che con oggetti contundenti, e che ha visto la vittima attinta anche in zone vitali, quali senza dubbio è la testa”. Ecco perché la Procura di Napoli affila le armi e chiede l’appello per rendere giustizia a Fortuna, la 35enne che fu uccisa il 7marzo del 2019, dal suo marito- carceriere Vincenzo Lo Presto. Assassinio avvenuto a mani nude e a colpi “di gruccia ortopedica e di uno scovolino di metallo”, con cui l’uomo ha picchiato selvaggiamente su varie parti del suo corpo. Quel marito è stato infatti condannato a 10 anni in primo grado per effetto della derubricazione del reato. E dal 23 febbraio è stato rimandato a casa, agli arresti domiciliari: vive così con sua madre, già in passata vittima lei stessa di maltrattamenti e violenze (come riferito dai fratelli dell’imputato), e nella stessa casa di Mianella, dove si consumò il massacro e dove avvenivano le abituali violenze su sua moglie, cui assistevano i loro tre figli minori.

Un caso che aveva suscitato non poche riserve, come raccontato da Repubblica già lo scorso febbraio, e la mobilitazione di un quartiere e del comitato di donne (le Forti guerriere) del Rione Sanità. Cittadine e cittadini che insieme ai parroci don Loffredo e don Rinaldi, educatori ed avvocati delle parti civili, a partire dai legali Manuela Palombi, Marco Mugione e Rosario Cristiano, impegnati a chiedere giustizia per una innocente. Voci alle quali si è unita, due domeniche fa, anche quella dell’arcivescovo Domenico Battaglia.

Ieri, le quasi 10pagine di appello, firmate dal procuratore aggiunto Rosa Volpe, mentre parallelamente l’aggiunto Raffaello Falcone, con i pm Raffaele Barela e Ernesto Sassano avevano depositato, poco prima, il ricorso al Riesame contro l’attenuazione della custodia cautelare, disposta dal gip Fabio Provvisier. La discussione dinanzi ai giudici della Libertà è fissata per il 25 marzo.
Per la Procura dunque – che si prepara al processo d’appello – non è vero che quell’uomo ha picchiato, ma non voleva uccidere, come da sentenza del Gup. Chiede che sia contestato invece l’omicidio volontario.

“Nell’escludere la volontarietà dell’omicidio, il giudicante osserva che l’imputato ‘non ha mai inferto alcun colpo finalizzato alla morte della moglie, ma reiterati colpi nessuno dei quali isolatamente riconducibile ad una finalità omicidiaria’, il che sarebbe legato – per il gip – anche alla circostanza che ‘non appena si è reso conto dello stato grave della vittima (emorragie e conati di vomito, ndr) l’imputato ha immediatamente allertato il 118’. Un ragionamento che, secondo la Procura, non giustifica “la conclusione secondo cui l’imputato non avrebbe mai accettato il rischio del verificarsi dell’evento morte”.
Ecco cosa obietta il procuratore aggiunto Rosa Volpe. “Innanzitutto va evidenziato che non è esatto che Lo Presto non avrebbe indirizzato alcun colpo a zone vitali della moglie”. L’imputato infatti, “pur palesemente mirando a ridimensionare la portata brutalmente aggressiva dei propri atti, ha ammesso” di averla presa a schiaffi – continua Volpe – “sul volto c’erano una pluralità di lesioni non compatibile con un unico schiaffo e lo stesso Gip ritiene certo, in sentenza, che la donna abbia subito diversi colpi anche al capo e al volto durante l’aggressione, e che queste violenze siano state la causa dell’emorragia subdurale acuta”.

Insomma, sostiene la pubblica accusa, “è pertanto possibile affermare che la Bellisario sia stata più volte attinta al capo nel corso dell’aggressione subita”, ed inoltre pesa anche la circostanza “che siffatta aggressione è stata portata all’indirizzo di una persona la cui fragilità era nota all’aggressore”. Ecco allegate le dichiarazioni di Lo Presto in cui egli riconosce che sua moglie “da quando l’ho conosciuta, sveniva spesso, sua madre mi disse che era anemica, io mi preoccupavo, sveniva già la prima volta che uscimmo, che cosa ha questa cristiana, e sua madre disse non ti preoccupare, è normale”.
Gli uffici guidati dal procuratore Gianni Melillo esortano così che sia riconosciuto “il valore palesemente strumentale e fuorviante della rappresentazione dei fatti e del complessivo quadro familiare e sociale in cui è maturato il delitto” offerto dall’imputato e dalla sorella. E con un accento non privo di fermezza, Volpe osserva poi che “tale ricostruzione, più ampia ed ancorata a plurimi e convergenti parametri obiettivi consentirà a questa Corte di apprezzare l’infondatezza e l’inadeguatezza di alcuni apprezzamenti giudiziali relativi ad ipotetiche condotte e stati psicologici della vittima, che obiettivamente espongono la censurata” sentenza “anche al rischio di adesione a congetture tanto improprie quanto prive di base fattuale”.

Il riferimento appare legato ai brani della sentenza Provvisier in cui si fanno continui cenni a dettagli, peraltro presunti, sulla vita intima della vittima (così come riferite dall’imputato, ovviamente), e alla osservazione che Fortuna “anche quando subiva i violenti pestaggi non si difendeva, ma accettava passivamente i colpi inferti, quasi a voler espiare le colpe attribuitele dal marito”.
La chiosa del procuratore Volpe è dura: “Meritando, invece, la vita della signora Bellisario – a lungo vilipesa e calpestata ed infine spenta dall’imputato – parole pienamente adeguate alla totale gratuità e brutalità delle offese patite”.

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