“Violento e pericoloso, l’assassino di Fortuna deve tornare in carcere”.

L’appello della Procura al Riesame contro la decisione del gip di concedere gli arresti domiciliari “Misura inadeguata e c’è anche il pericolo di fuga acuito dalla recente condanna a dieci anni”

Di Conchita Sannino

Deve tornare dietro le sbarre, per la Procura. Quegli arresti domiciliari sono “inadeguati” a fronteggiare i rischi. Vincenzo Lo Presto uccise sua moglie, Fortuna Bellisario – era il 7 marzo del 2019 – all’apice di “un’abituale condotta maltrattante”, “rivelatrice di un’indole violenta e quindi di una pericolosità ad oggi persistente”. Non solo. Esiste per Lo Presto anche “il pericolo di fuga”, che “non è attenuato ma anzi acuito” dalla recente sentenza a 10 anni di carcere, all’esito del processo di primo grado.

Ecco su quali basi i pubblici ministeri, nel merito, si oppongono a quella scarcerazione (dopo aver spiegato anche l’inammissibilità formale dell’istanza). Ecco come motivano l’appello al Tribunale del Riesame, contro l’ordinanza del gip Fabio Provvisier: affinché i giudici, è la richiesta, possano ripristinare la custodia cautelare in carcere. È quanto chiedevano – Repubblica lo racconta da una settimana – gli avvocati delle parti civili, a partire da Manuela Palombi e Marco Mugione (che assistono la sorella e i genitori di Fortuna); mentre sul territorio la silenziosa mobilitazione delle Forti Guerriere, il comitato di donne amiche e conoscenti della vittima, insieme a padre Antonio Loffredo, agli altri parroci e educatori del rione Sanità, al presidente della municipalità Ivo Poggiani (“Che ingiustizia vedere che un assassino viene rimandato a casa in questo modo”) , testimoniava dolore e smarrimento di fronte all’immagine del “reo confesso” tornato da solo, senza neanche braccialetto elettronico, nella stessa casa del massacro. Un impegno corale che culminerà, domenica prossima, secondo anniversario di quel femmincidio, nella messa alla Basilica di Santa Maria alla Sanità: che sarà officiata, proprio in memoria di Fortuna, dall’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia.

Don Mimmo, come l’alto prelato si fa chiamare da tutti anche in città, ha voluto conoscere la storia di sofferenza di quella donna lasciata sola, e attraverso lei intende ascoltare e stare vicino alle altre che, solo dopo il funerale della Bellisario, hanno trovato il coraggio di denunciare. Al rito partecipano, a suggellare una battaglia culturale, il prefetto, il questore con i comandanti di Arma e Finanza, il procuratore Gianni Melillo con la presidente del Tribunale di Napoli, Elisabetta Garzo, e quella del Tribunale per i minori Patrizia Esposito. Questi ultimi uffici impegnati – con il giudice Posteraro, e attraverso il legale Rosario Cristiano e la collega Maria Teresa De Nicolo – a “proteggere” e a curare i tre figli minori di Fortuna e del marito-assassino, due femmine e un maschio che già portano segni, traumi gravi, per le violenze consumate sotto i loro occhi.
Tre pagine. Le argomentazioni con cui i pm Raffaele Barela ed Ernesto Sassano ricorrono al Riesame sono sottoscritte anche dall’aggiunto Raffaello Falcone e dal procuratore Gianni Melillo.

I pm si soffermano sull’indole “violenta”, sui pestaggi durati anni, e avvertonop che i domiciliari “comportano peraltro la ripresa della coabitazione con la madre di Lo Presto: anch’essa in passato vittima di condotte violente, da parte del figlio, sebbene mai denunciate”. La stessa donna, va ricordato, era testimone delle violenze sulla nuora Fortuna, sempre taciute. Negli atti, non citato qui dai pm, vi sono poi particolari agghiaccianti sulla durata, oltre 15 anni, della gravità di quei maltrattamenti. Un parente racconta, agli atti: “Ho visto in molteplici occasioni Vincenzo picchiare sua moglie, era molto violento, ho cercato di dividerli subendo io stesso violenze e minacce”, e riferisce di altri gravi reati commessi da Lo Presto, nel tempo. Scenario che – è facile presumere – spingerà la Procura a rivedere radicalmente il verdetto del primo grado: puntando verosimilmente, in appello, a mettere in discussione la derubricazione da omicidio volontario a preterintenzionale. Un quadro rispetto al quale hanno destano stupore anche alcune parole della motivazione del gip, che parla di Fortuna, e delle gravi violenze subite, “quasi come se sentisse di meritarle”. In riferimento, ovvio, alla dinamica perversa del carnefice.

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